Muore il mito di TeleJato, il mito di una televisione che a
molti aveva ricordato il coraggio e l’irriverenza di Peppino Impastato, la
speranza di poter prendere botte, anche forti senza mai perdere la forza di
rialzarsi, la sensazione di sentirsi solo ma non isolato ed abbandonato e salvo
doverose verifiche e riabilitazioni un altro pezzo di lotta alla Mafia si
arrende.
Ci sono due forme di resa alla criminalità: quella per
assorbimento e quella per sfinimento e probabilmente Maniaci è stato colpito da
quest’ultima, in un ambiente dove devi trovare motivazioni, difese, essere
sempre sulle spine ed alla fine è stato sommerso dalla volontà di liberarsi
dallo stress con gli stessi mezzi di chi lo crea tutti i giorni.
Ma la vicenda di Maniaci, indagato al momento per estorsione
insieme con altre dieci persone, è forse il culmine della crisi di quell’anti-mafia
professionista che ha visto il figlio di La Torre entrare in rotta con Don
Luigi Ciotti e Libera, di numerosi scrittori che hanno preferito cambiare
argomento o diventare essi stessi l’argomento ed il protagonista, di magistrati
che hanno fatto la spola fra la politica ed il tribunale perdendo in entrambi i
casi.
Purtroppo iniziano a mancare i testimoni ed è questa la cosa
più grave. Il silenzio con cui la figlia di Borsellino è stata costretta alla
rinuncia dell’incarico nella Giunta Crocetta (altro esponente anti-mafia
persosi nei meandri della caciara politica) è significativo e soltanto un
funerale tardivo voluto dalla figlia di Lea Garofalo ha dato un minimo di
emozione e di ricordo ad un paese che ha dimenticato questo problema.
Se chiedete tutto ciò al governo, vi dirà che molto è stato
fatto, se chiedete al Ministero dell’Interno vi dirà che eroicamente ha
resistito alle minacce, ma la gente non ci crede più e forse è il caso che
tutte quella società civile che ancora vuole dare un segnale ai giovani
italiani si svegli, tolga un po’ di NEBBIA dai suoi occhi e riprenda a lavorare
a testa bassa, in silenzio e sul serio.
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